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La stregoneria nel Friuli del ‘500
La questione dell’interpretazione delle fonti

Quando si tratta di passare dal piano della affabulazione popolare a quello dell'analisi storica, antropologica e giurisprudenziale dell'Inquisizione e dei processi da essa istruiti contro streghe e stregoni, si registrano non poche difficoltà. Di certo, alcuni fattori hanno contribuito al perpetuarsi di vecchi stereotipi e di fraintendimenti: l’uso improprio delle fonti, le affermazioni non sorrette dai dati di fatto, deliberati tentativi di distorcere la realtà, la tendenza, da parte di alcuni studiosi, a considerare regola le aberrazioni, la presenza di contraddizioni anche in una stessa opera e il disaccordo fra gli storici su punti fondamentali pure se verificabili sulla base di medesimi documenti; il tralasciare l'aspetto sociale, antropologico, umano. Alcuni studiosi hanno sollevato il problema dell’attendibilità dei processi inquisitoriali come documenti storici; Carlo Ginzburg, in particolare, ha sottolineato il divario di estrazione sociale e culturale che spesso separava giudice e imputato, chiedendosi se tali fonti, pervenuteci attraverso il filtro dei rappresentanti delle classi colte, siano in grado di informarci correttamente sulle idee e sulle affermazioni dell’imputato e dei testimoni; e se siano altresì in grado di indicare la giusta via interpretativa di un così complesso sistema (struttura) di regole e norme giuridiche, inevitabilmente coimplicato con molteplici elementi di natura sociale, culturale, economica, antropologica, geografica...
Le fonti giudiziarie, nel momento stesso in cui sono capaci di rivelare informazioni preziose su aspetti sconosciuti (o diversamente conosciuti) della vita quotidiana di centinaia, migliaia di persone comuni, e di emarginati dalla società, pongono agli studiosi difficili problemi di corretta fruibilità. Ci troviamo di fronte non più alla registrazione di atti, di comportamenti ma alla valutazione di atti e comportamenti, all'espressione di giudizi che vanno dalla discussione circa l'esistenza del comportamento stesso alla determinazione della sua liceità o meno e fino alla definizione della pena connessa con l'illecito presunto o dimostrato.
Tra il fatto e chi il fatto oggi interpreta c'è la mediazione di una prima, forse di una seconda e magari anche di una terza interpretazione: quella del legislatore che ha previsto una serie di comportamenti come riprovevoli sulla base della cultura del tempo, quella dell'interprete della norma che nel corso del procedimento la applica al caso specifico, quella dell'accusato che non credeva o non sapeva o non voleva trasgredire oppure che non riconosceva la validità della norma in base alla quale si trova nella condizione di imputato.
Le fonti giudiziarie sono testi, questo è innegabile, manipolati e destinati a perseguire certi risultati. Essi sono costruiti non per raccontare ciò che è avvenuto ma per dimostrare che quanto si sostiene essere avvenuto è vero, è comprovato dalle prove e dalle testimonianze (e questo anche in caso di assoluzione). E non potrebbe essere altrimenti.
I trattati di procedura inquisitoriale precisavano che cinque erano i delitti che rientravano nelle competenze del tribunale: l'eresia o il favoreggiamento d'eretici; la magia e la stregoneria; le bestemmie ereticali; la disobbedienza e la contestazione del Sant'Ufficio; anche gli ebrei e gli infedeli potevano essere sottoposti al tribunale per la trasgressione di quei principi della fede che erano considerati comuni (l'esistenza di Dio creatore, onnipotente ed eterno, ad esempio). Ecco, dunque, alla luce dei delitti (presenti nei testi dell'Inquisizione, nei verbali dei suoi processi, e ancor più presenti laddove assenti) la necessità di analizzare il "delinquente", la strega, e il suo mondo, reale e al tempo stesso immaginifico e - forse che no? - immaginario.
Inquisizione e inquisito vengono “portati alla luce”, dis-velati attraverso un'analisi del “caso generale” e del “caso eccezionale”, dell'equilibrato giudizio e del giudizio precostituito e costruito attraverso menzogne e torture. L'uno e l'altro non sono le due facce, bensì la stessa faccia di una sola medaglia; l'unica possibile di interpretazione: un'interpretazione che è, in realtà, una pluralità di possibili interpretazioni. L'altra faccia della medaglia è l'interpretazione stessa, l'interpretazione che noi diamo del passato, della storia.
Tenendo sempre presente che se da una parte c'è l'inquisitore che ha l'obiettivo di perseguire i colpevoli per farli ravvedere e riconciliare con la fede e che deve dimostrare la colpevolezza attraverso le prove di pratiche contrarie o differenti dalla prassi prevista dalla Chiesa (e questa prassi si viene precisando nel corso del processo in tutti quegli aspetti che il reo potrebbe aver messo in discussione o non osservato), dall'altra parte c'è l'accusato che ha l'obiettivo contrario. Egli intende dimostrare la sua ortodossia, la liceità e normalità dei suoi comportamenti, il suo essere buon cristiano. Anch'egli rinvia, nelle sue affermazioni, ad un modello di comportamento religioso che, per larga parte, è lo stesso utilizzato dall'inquisitore. E' al medesimo trattato di procedura inquisitoriale che l'inquisitore e l'accusato fanno riferimento, allo stesso modello ideale di comportamento religioso che è testimoniato dal trattato. Ma non solo: comune ad entrambi è l'humus sociale, culturale, economico e tradizionale della terra, del territorio, del luogo di appartenenza.
Le fonti inquisitoriali, dunque, risultano essere l'elemento centrale dell'analisi storiografica sull'inquisizione, al fine di raggiungere sia un approfondimento di singoli episodi particolarmente rilevanti alla ricostruzione di vicende processuali prima sconosciute sia per intraprendere l’analisi globale dell’operato del Santo Ufficio come istituzione di controllo operante nella società. L'aspetto metodologico dell’approccio alle fonti (in particolare per le indagini di tipo seriale), è inscindibile dalle singole situazioni locali, assai diverse tra di loro per il carattere non certo monolitico dell’Inquisizione romana, che si è modellata in assetti differenti in ciascuno degli Stati della penisola. Se è indubbio che nel Friuli del tardo ’500 e del ’600, un apparato forte, di cui l’Inquisizione è l’organismo di punta, ha imposto e diffuso un modello semplificato e coerente d’interpretazione del male in termini di stregoneria diabolica ed eresia, è altrettanto indubbio che affianco a questo modello semplificato e coerente, anzi, compenetrato in esso esista un altro modello; altrettanto coerente seppur per nulla semplificato. I modi tradizionali locali di pensare e di agire in situazioni di sventura si adattano e si riaggiustano: misurare i panni dei malati con il palmo della mano; raccontare sconvolgenti esperienze notturne; setacci e forche, aghi e scope che significano altro nelle mani di donne nate e legate alla campagna, alla terra, nelle mani di donne depositarie di tradizioni, artigiane del rituale.
In queste terre del nord dell'Italia e del centro dell'Europa, dove confluiscono tradizioni germaniche e slave, è presente un culto di fertilità, i cui portatori - i benandanti - si presentano come difensori dei raccolti e della fertilità dei campi. Nel giro di un secolo i benandanti diventano stregoni, e i loro convegni notturni (volti a procurare fertilità) si trasformano nel sabba diabolico, col suo corredo di tempeste e di distruzioni. Forse che in Friuli la stregoneria diabolica si diffuse come deformazione di un precedente culto agrario? Ecco, forse, l'elemento significativo e significante l'intero tema trattato. Non punto di arrivo dell'interpretazione storica, ma unità di misura per chi deve e vuole soppesare elementi così numerosi e (all'apparenza) eterogenei.
Il Friuli di quel tempo lontano (ma non così lontano) vive un tempo scandito da una realtà concretamente vissuta, organica alle esigenze delle comunità umane. I diversi momenti del calendario si susseguono strettamente connessi all'ambiente, esiste una perfetta sincronia tra natura e uomo, che crea, modifica e mantiene il binomio natura-cultura. In una società di coltivatori, lo scorrere del tempo si articola in correlazione con i periodi della semina, del germoglio primaverile e del raccolto: questo è il modo di “sentire” ed “essere” nel tempo, per il singolo individuo come per l'intera comunità. E l'elemento religioso si intreccia a questo “sentire”, a questo “essere”.
E quando una diversa religione si incontra-scontra con l'originario credo, l'intreccio non può sciogliersi, non può risolversi senza che si presentino... nodi. E senza che la risoluzione di questi nodi sia origine di contraddizioni e contrasti.
Un esempio. In Friuli, esiste, nella celebrazione dell'Epifania e del Mac di San Zuan (mazzo di San Giovanni), una compenetrazione di pagano e cristiano. Nel giorno dell'Epifania si portano in chiesa pane, sale, frutta per la loro benedizione con l'acqua che viene riconsacrata nello stesso giorno; lo stesso avviene con il Mac di San Zuan al fine di potenziarne l'efficacia.
Il Mac è una composizione d'erbe e fiori cresciuti spontaneamente, raccolti da mani "intendenti" dopo la notte di San Giovanni, e ancora bagnati dalla rugiada; tutti i mazzi portano al loro interno il fiore del Santo, l'iperico, detto anche “scacciadiavoli”.
Assieme all'iperico troviamo pennacchi bianchi, assenzio, melissa, menta, gladioli, felci, cumino..., la composizione varia da zona a zona ma tutti i Macs vengono portati in chiesa per essere benedetti e poi portati a seccare nelle case a protezione delle stesse e delle persone che vi abitano. La possibilità di vedere distrutto il raccolto da temporali o da altri eventi nefasti è evitata dalle donne per mezzo dei fiori del Mac, che assieme a delle foglie d'ulivo vengono bruciati in piedi sull'uscio della porta, per scacciare il cattivo tempo e preservare così il raccolto dalle grandini. Prima di quest'usanza pagano-cristiana, la sapienza popolare veniva guardata con sospetto: durante l'Inquisizione molte donne che conoscevano i segreti delle erbe del Mac venivano condannate come medisinarie o peggio stries (streghe).
E sempre le donne sono protagoniste di altri riti di divinazione e propiziazione delle forze positive a protezione della casa. E’ singolare che la figura femminile venga ad assumere un ruolo principale in questi riti: questo è sicuramente da ascrivere alla peculiarità del corpo femminile, che è in grado di generare la vita (come la Madre Terra) ma anche di toglierla.
Di contro, il Cristianesimo vede la donna come un essere diabolico per principio in quanto ha istigato l'uomo al peccato originale; inoltre attribuisce potere tentatore e corruttore alla bellezza della donna, alla sua astuzia e alla sua malizia. Un'osservazione sulle piante utilizzate per il Mac: il finocchio, il viburno, la canna di sorgo, le felci sono anche le armi che usavano i benandanti e le streghe nei loro combattimenti i giovedì delle quattro tempora; dall'esito di queste battaglie, l'abbondanza o la carestia dei raccolti. Così Carlo Ginzburg nel suo “I benandanti”. Io sonno benandante perché vo con li altri a combattere quattro volte l’anno, cioè le quattro tempora, di notte, invisibilmente con lo spirito et resta il corpo; et noi andiamo in favor di Christo et li strigoni deI diavolo, combattendo l’un con l’altro, noi con le mazze di finocchio et loro con le canne di sorgo. Non vi è mito senza un'esperienza storicamente data. In ogni cultura, e in special modo nelle culture “primitive”, arcaiche, rappresentazione e danza, gestualità e canto non sono solo spettacoli, non sono solo arte (nel senso “estetico” del termine) ma un procedimento magico per agire sulla natura, dove l'azione precede la formazione del mito, che si sviluppa solo in un secondo momento. Esiste una sottile, ma solo all'apparenza, linea di demarcazione tra mito e realtà, tra interpretazione ed esistenza; questa linea è il limite che impedisce l'andar oltre, è il limite che nasconde la verità di ciò che è accaduto e accade, è il limite intrinseco ad ogni interpretazione... e ad ogni interpretazione dell'interpretazione. Rendersi conto di questo limite può, deve essere il punto di partenza per la creazione e per l'utilizzo di qualsivoglia metodo di analisi e ricerca storica, antropologica, sociale.
Ricordarsi di questo limite equivale a ricordare la regola prima di ogni buon esploratore, esploratore di luoghi geografici e dei luoghi della storia, dei luoghi della ragione e dei luoghi dello spirito; si dice dell'inquisitore così come si dice dell'inquisito, si dice di atti processuali così come si dice di racconti e tradizioni popolari, si dice citando ed anche ipotizzando; si dice tutto questo avendo sempre ben presente che... la mappa non è mai il territorio.
HYPERICUM PERFORATUM

FAMIGLIA: Guttiferae
NOMI COMUNI: Erba di S. Giovanni, erba d'la feu, ossi de grillo, erba per le scottature, pilastro, brunnulidda.
LA DROGA: Le sommità fiorite.
QUANDO SI RACCOGLIE: Le sommità fiorite si raccolgono in giugno - luglio quando buona parte dei fiori è già aperta e prima che ve ne siano di appassiti; si recidono i fusti evitando le parti inferiori troppo lignificate.
PROPRIETÀ: Aromatizzanti, digestive, antispasmodiche, ipotensive, astringenti, antiinfiammatorie, cicatrizzanti.
PRINCIPI ATTIVI: Olio essenziale (pinene, sesquiterpeni), flavonoidi, tannini, ipercina, acido clorogenico e caffeico.

Ricorda sempre: primum non nocere
L'Erbario di Urbino
Grazie a Dio sono ateo